2008:CATTOLICI E LIBERALI PERCHE'?

Nel ‘900, molti liberali europei si sono trovati spesso in conflitto con la Chiesa. L’Italia e la Francia si sono costituiti proprio come Stati-nazione con una lotta (anticlericalismo) nei confronti della Chiesa cattolica. Ora, i tempi sono maturi per superare quel razionalismo chiuso e per aprire il liberalismo al messaggio Cristiano. A tal fine, non occorre che il liberale sia credente (la fede si gioca in un incontro personale con Dio), ma consapevole che sulla cultura Cristiana si è fondata l'Europa.
In passato il progressivo rinnegamento di queste radici ha consegnato il "vecchio continente" nelle mani di regimi liberticidi e sanguinari (comunismo e nazi-fascismo). Oggi il pericolo si chiama laicismo e fondamentalismo! Ecco le ragioni del nuovo progetto liberale: credenti e non credenti insieme per assicurare a Lesina, in Italia, in Europa.. un alba di libertà!

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mercoledì 5 novembre 2008

Il ruolo del Cristianesimo nella politica

di Antonio Colella
Nel corso della storia, avvenimenti di notevole caratura, che si sono succeduti, hanno avuto uno sviluppo alla base del quale ha giocato un ruolo fondamentale il Cristianesimo. E’ sicuramente riduttivo parlare di evento del tutto fortuito quando pensiamo al fatto che la democrazia sia nata e si sia sviluppata in Occi­dente, in Paesi di antica tradizione cristiana, dove oggi convi­vono un cristianesimo militante e un umanesimo laicizzato, che non può però del tutto nascondere le sue antiche origini reli­giose.
Il passaggio dalla società chiusa alla società aperta non si è avuto per via di semplice allargamento, ma solo grazie all’impulso della morale aperta e della religione aperta. Come afferma Bergson, questa apertura fu dovuta al Cristianesimo e alla sua idea della fraternità universale, che implica l’uguaglianza dei diritti e l’inviolabilità della persona. Nel quadro di tale passaggio si colloca il moto verso la democrazia, che “è l’essenza evangelica e ha per motore l’amore”. La livrea tipica di una società democratica è costituita dalla libertà, dall’eguaglianza e dalla fraternità, in contrapposizione a quella di una società non democratica o chiusa, le cui peculiarità sono l’autorità , la gerarchia e la stabilità.
Una svolta senza precedenti è la presa di posizione della Chiesa Cattolica in merito a determinate questioni comuni mediante l’esposizione della Dottrina Sociale Cristiana. Si tratta dell’enciclica papale Rerum Novarum promulgata da sua Santità Leone XIII il 15 maggio del 1891, nella quale auspica un’azione volta al raggiungimento di una maggiore giustizia sociale tramite l’applicazione dei principi della fede cristiana in una società in cui una solidarietà collettiva eliminasse i conflitti di classe. L'originalità dell'enciclica si ritrova nella mediazione di cui fece uso il Papa, il quale, ponendosi esattamente a metà strada fra le parti, esortò la classe operaia a non dar sfogo alla propria rabbia attraverso le idee di rivoluzione, di odio verso i più ricchi, e chiese ai padroni di mitigare gli atteggiamenti verso i dipendenti, abbandonando lo schiavismo cui erano sottoposti. Il Pontefice, inoltre, preferì che la questione sociale venisse risolta dall'azione combinata di Chiesa, Stato, impiegati e datori di lavoro. Tale spinta verso un rinnovamento, come vedremo, finì per assumere anche un significato politico, come tentativo per impegnare i cattolici in una battaglia civile per il consolidamento della partecipazione di ogni cittadino alla gestione democratica dei pubblici poteri.
Durante la Seconda Guerra Mondiale è ancora una volta fondamentale il ruolo ricoperto dal Cristianesimo nella lotta ai totalitarismi. Questo periodo rappresenta per Papa Pio XII il culmine di una vicenda storica di abbandono totale della religione, ma ,al tempo stesso, viene citata come gli inizi di un’aperta apologia del Cristianesimo e una condanna di tutta quella catena di errori storici, filosofici e religiosi, che aveva determinato la situazione presente. E’ emblematico il coraggio dimostrato dal pontefice nel siglare numerosi appelli per la pace e contro le azioni belliche dello Stato italiano e tedesco, ma soprattutto nell’emanare un decreto in cui afferma che ogni cattolico, che avesse appoggiato in qualsiasi modo o grado il comunismo, sarebbe incorso nella scomunica. Pertanto, la restaurazione di una società e di uno Stato cristiani s’imponeva come una necessità primaria e diventava per la Chiesa una sorta di programma di ricostruzione spirituale, morale e politica, che il laicato cattolico avrebbe dovuto realizzare. Nel disegno di Papa Pio XII tutte le realtà della vita umana, dalle più grandi alle più piccole, dallo Stato alla famiglia, dalla cultura allo sport, ai diversi ambiti professionali, potevano e dovevano essere ricondotte a una concezione cristiana. Nei suoi primi mesi di pontificato si preoccupò di istituire una Commissione cardinalizia, assistita da un vescovo con la duplice funzione di segretario generale della commissione e di assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica. Questa sua riforma fu conseguita con l’intento di proteggere il laicato cattolico ed ottenere una maggiore clericalizzazione e diocesanizzazione dell’Ac stessa. Tra i vari pareri dei vescovi in merito a questa innovazione, viene maggiormente preso in considerazione quello che rivendica un impegno nel sociale più ragguardevole. E’ in base a questa analisi che l’Ac darà al futuro partito di ispirazione cristiana parte dei suoi quadri dirigenti e soprattutto la grande massa degli iscritti della sua Associazione. Uno dei primi atti della Commissione fu quello di nominare Aldo Moro presidente nazionale della Federazione Universitari Cattolici Italiani (FUCI). L’obiettivo primario della sua presidenza è quello di preparare i cattolici ad una ripresa della vita democratica. La coscienza di creare dei veri cristiani che sentono la responsabilità della vita e il dovere di una espansione di carità rappresenta l’oggetto della FUCI. Quando Aldo Moro lascia la presidenza, a causa di impegni militari, gli succede Giulio Andreotti, già conosciuto come condirettore del loro periodico “Azione Fucina”. E’ proprio attraverso questo periodico che farà conoscere le sue idee, la principale delle quali è la necessità di contribuire a far convergere l’impegno degli universitari cattolici nel cooperare a porre le basi per un futuro ordinamento sociale ispirato ai principi del cristianesimo. I due personaggi accennati sono tra i maggiori esponenti nella storia della causa democristiana e sono riusciti a scalare la loro posizione politica proprio grazie ai loro archetipi diffusi con la militanza in associazioni di stampo cattolico come quelle sopra esposte. Giulio Andreotti, oggi senatore a vita, è poi diventato Presidente del Consiglio del partito della Democrazia Cristiana, mentre Aldo Moro, a lungo leader della Dc, viene oggi ricordato come un martire politico. Considerato dai comunisti il pericolo più grande, per via del progetto politico di cui era portatore e del suo modo di vedere la società democratica, viene rapito dalle Brigate Rosse e ucciso dopo 55 giorni di prigionia. Come riportato in un intervista alla figlia Agnese per il mensile di Azione Cattolica “Segno nel Mondo”, la sua idea di democrazia era quella di un paese che mettesse al centro le persone e che cercasse di farle esprimere al meglio, e di un luogo dove tutti potessero incontrarsi per intraprendere insieme una strada. Il suo giudizio per il terrorismo è di una violenza tramata nell’ombra, funzionale ad interrompere un processo di libertà. E’ molto fiducioso nei giovani, con i quali è quotidianamente a contatto, e non teme il futuro.
La storia ci insegna come, in molte delle vicende in cui i cristiani si sono impegnati nel sociale, essi non hanno avuto il timore di affrontare il futuro con tutte le forze derivanti dalla propria fede. Testimoniano quanto enunciato, oltre al caso Moro, tanti altri casi durante il periodo della Resistenza e del ritorno alla democrazia nel nostro paese, in seguito al secondo conflitto mondiale. E’, a tal proposito, singolare il contributo dei partigiani cattolici alla liberazione con la pratica della Resistenza carità, cioè un modo sconosciuto fin ad allora, ma soprattutto più umano di vivere questo drammatico momento storico, opponendosi a ogni ingiustizia e affermando la libertà come diritto di ogni uomo, riconoscendo la dignità di persona anche agli avversari. A fianco della componente cattolica si trovano in questo cammino altre componenti ideali del nostro paese, come quella legittimista, liberale, socialista e comunista. Proprio quest’ultima dà vita alla Resistenza rivoluzione, improntata su un progetto violento mirato alla costruzione di una società perfetta e che necessita, quindi, dell’abbattimento di chiunque si opponga alla sua ideologia. In quel periodo, la cultura comunista diventata dominante, finisce per affermare, attraverso la censura degli episodi scomodi e la mitizzazione dell’antifascismo, l’idea di una resistenza quasi esclusivamente rossa. Attraverso le parole, le testimonianze, le lettere, i documenti e foto dei protagonisti, alcuni dei quali mostreremo in questa tesi, è possibile rivivere la nascita della Resistenza cattolica a Reggio Emilia ad opera di grandi personaggi oggi dimenticati. Don Pasquino Borghi, animatore ardente dei primi nuclei partigiani, ospitò nella sua casa evasi di prigionia tedesca e, ucciso dai nazisti, divenne per i giovani motivo di maggior dedizione alla lotta partigiana. Non si può non rievocare nella mente dei cattolici il coraggio del comandante e medico Pasquale Marconi, il quale, padre di dieci figli, rischiò la vita per curare anche gli avversari feriti. Divenuto partigiano “per amore e non per odio”, afferma che quando è in gioco la libertà non si può stare in comodo rifugio. “Amico della verità sino al martirio” si confermò il seminarista quattordicenne Rolando Rivi, ucciso dai partigiani comunisti per non aver sacrificato il suo gusto di vivere la propria identità, di voler portare l’abito talare e di guidare altri giovani al fermento cristiano. Questi sono solo alcuni dei tanti protagonisti di quella “Resistenza Cancellata”, a cui presero parte numerosi cattolici. Ripercorrendo la strada dalle origini, un gruppo di partigiani forti della loro profonda fede cristiana e accomunati dal riconoscimento della dignità dell’uomo, anche se nemico, danno vita alla Resistenza nella città di Reggio Emilia, in quanto delusi dal fascismo e legati dalla comune amicizia con due sacerdoti. A partire dall’8 settembre 1943, la parrocchia di S. Pellegrino diventa luogo d’incontro clandestino per l’organizzazione di una iniziale forma di Resistenza sotto la guida di Don Angelo Cocconcelli e Don Giuseppe Iemmi. Questi incontri coinvolgeranno successivamente anche esponenti politici, sino a portare alla formazione del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Tutti i partiti democratici diedero il loro apporto alla formazione di questo comitato, tra i quali il Partito Socialista (PSIUP), la Democrazia Cristiana (DC), il Partito Comunista (PCI), il Partito Liberale (PLI), il Partito d’Azione (PDA) e la Democrazia del Lavoro (DL), con l’intento di conquistare la libertà in maniera definitiva contro ciò che rimane del fascismo. Il segretario della DC De Gasperi capì sin da subito che l’intento del PCI non era solo quello di liberare l’Italia, ma soprattutto di conquistare una dittatura di fatto attraverso le forme democratiche. Questo è quanto esprimeva in una delle sue lettere indirizzate a Don Sturzo. L’inclinarsi dei rapporti dei due partiti è successivamente confermato dalla denuncia fatta da un altro esponente politico della Democrazia Cristiana, Giuseppe Dossetti, il quale riconosceva il contributo del Partito Comunista specialmente in alcune province, ma la Resistenza non doveva essere il monopolio esclusivo di alcun partito e, invece, si è tentato di farne il monopolio del partito comunista.
E questo è solo l’inizio di una interminabile battaglia ideologica tra due partiti che hanno fondato la loro esistenza da una parte sul carattere dell’ateismo e della rivoluzione totale, rifacendosi al progetto politico dell’URSS, dall’altra sui principi cristiani da applicare nella società per il successo della repubblica democratica, ma questo lo vedremo meglio nel prossimo paragrafo.
Tutt’oggi, sono evidenti i tentativi della Chiesa di dare una sterzata alla politica dei governi contemporanei, che sia finalizzata al rispetto della vita e dei principi inderogabili ad essa connessi.
Tramite la “Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”, il Concilio Vaticano II invita i fedeli laici a non abdicare alla partecipazione alla “politica”, ovvero alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, finalizzata all’ approvazione organica ed istituzionale del bene comune.
E’ proprio questo il punto che chiarisce qualsiasi dubbio sull’importanza del Cristianesimo nella politica. Il cristiano, infatti, è chiamato ad essere il primo a dare l’esempio di lealtà ed obbedienza verso la propria patria, ma tutto ciò fino a quando essa garantisce i principi inviolabili dell’uomo e ne promuove il rispetto degli stessi.
Purtroppo questo non è da considerarsi per scontato, e quando ciò avviene, risulta più che necessario che i cristiani scendano in campo per far sentire la propria voce nel richiamare i governanti al rispetto dei principi egualitari che appartengono alla democrazia. Quando non risulterà sufficiente una semplice esclamazione popolare a richiamare la deferenza di questi valori sarà doveroso per coloro che hanno una formazione cristiana che s’impegnino in prima persona nella gestione delle risorse a disposizione della comunità.
Una dimostrazione trasparente dell’impegno dei cristiani in politica ci è data dalla DC che, per un lungo periodo della storia della Repubblica Italiana, seppe come nessun altro partito difendere i valori cristiani e collocarli alla base della Costituzione.

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