2008:CATTOLICI E LIBERALI PERCHE'?

Nel ‘900, molti liberali europei si sono trovati spesso in conflitto con la Chiesa. L’Italia e la Francia si sono costituiti proprio come Stati-nazione con una lotta (anticlericalismo) nei confronti della Chiesa cattolica. Ora, i tempi sono maturi per superare quel razionalismo chiuso e per aprire il liberalismo al messaggio Cristiano. A tal fine, non occorre che il liberale sia credente (la fede si gioca in un incontro personale con Dio), ma consapevole che sulla cultura Cristiana si è fondata l'Europa.
In passato il progressivo rinnegamento di queste radici ha consegnato il "vecchio continente" nelle mani di regimi liberticidi e sanguinari (comunismo e nazi-fascismo). Oggi il pericolo si chiama laicismo e fondamentalismo! Ecco le ragioni del nuovo progetto liberale: credenti e non credenti insieme per assicurare a Lesina, in Italia, in Europa.. un alba di libertà!

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sede legale: via G. Mazzini, 10- 71010 Lesina (FG)cattolicieliberali@alice.it

mercoledì 5 novembre 2008

Il ruolo del Cristianesimo nella politica

di Antonio Colella
Nel corso della storia, avvenimenti di notevole caratura, che si sono succeduti, hanno avuto uno sviluppo alla base del quale ha giocato un ruolo fondamentale il Cristianesimo. E’ sicuramente riduttivo parlare di evento del tutto fortuito quando pensiamo al fatto che la democrazia sia nata e si sia sviluppata in Occi­dente, in Paesi di antica tradizione cristiana, dove oggi convi­vono un cristianesimo militante e un umanesimo laicizzato, che non può però del tutto nascondere le sue antiche origini reli­giose.
Il passaggio dalla società chiusa alla società aperta non si è avuto per via di semplice allargamento, ma solo grazie all’impulso della morale aperta e della religione aperta. Come afferma Bergson, questa apertura fu dovuta al Cristianesimo e alla sua idea della fraternità universale, che implica l’uguaglianza dei diritti e l’inviolabilità della persona. Nel quadro di tale passaggio si colloca il moto verso la democrazia, che “è l’essenza evangelica e ha per motore l’amore”. La livrea tipica di una società democratica è costituita dalla libertà, dall’eguaglianza e dalla fraternità, in contrapposizione a quella di una società non democratica o chiusa, le cui peculiarità sono l’autorità , la gerarchia e la stabilità.
Una svolta senza precedenti è la presa di posizione della Chiesa Cattolica in merito a determinate questioni comuni mediante l’esposizione della Dottrina Sociale Cristiana. Si tratta dell’enciclica papale Rerum Novarum promulgata da sua Santità Leone XIII il 15 maggio del 1891, nella quale auspica un’azione volta al raggiungimento di una maggiore giustizia sociale tramite l’applicazione dei principi della fede cristiana in una società in cui una solidarietà collettiva eliminasse i conflitti di classe. L'originalità dell'enciclica si ritrova nella mediazione di cui fece uso il Papa, il quale, ponendosi esattamente a metà strada fra le parti, esortò la classe operaia a non dar sfogo alla propria rabbia attraverso le idee di rivoluzione, di odio verso i più ricchi, e chiese ai padroni di mitigare gli atteggiamenti verso i dipendenti, abbandonando lo schiavismo cui erano sottoposti. Il Pontefice, inoltre, preferì che la questione sociale venisse risolta dall'azione combinata di Chiesa, Stato, impiegati e datori di lavoro. Tale spinta verso un rinnovamento, come vedremo, finì per assumere anche un significato politico, come tentativo per impegnare i cattolici in una battaglia civile per il consolidamento della partecipazione di ogni cittadino alla gestione democratica dei pubblici poteri.
Durante la Seconda Guerra Mondiale è ancora una volta fondamentale il ruolo ricoperto dal Cristianesimo nella lotta ai totalitarismi. Questo periodo rappresenta per Papa Pio XII il culmine di una vicenda storica di abbandono totale della religione, ma ,al tempo stesso, viene citata come gli inizi di un’aperta apologia del Cristianesimo e una condanna di tutta quella catena di errori storici, filosofici e religiosi, che aveva determinato la situazione presente. E’ emblematico il coraggio dimostrato dal pontefice nel siglare numerosi appelli per la pace e contro le azioni belliche dello Stato italiano e tedesco, ma soprattutto nell’emanare un decreto in cui afferma che ogni cattolico, che avesse appoggiato in qualsiasi modo o grado il comunismo, sarebbe incorso nella scomunica. Pertanto, la restaurazione di una società e di uno Stato cristiani s’imponeva come una necessità primaria e diventava per la Chiesa una sorta di programma di ricostruzione spirituale, morale e politica, che il laicato cattolico avrebbe dovuto realizzare. Nel disegno di Papa Pio XII tutte le realtà della vita umana, dalle più grandi alle più piccole, dallo Stato alla famiglia, dalla cultura allo sport, ai diversi ambiti professionali, potevano e dovevano essere ricondotte a una concezione cristiana. Nei suoi primi mesi di pontificato si preoccupò di istituire una Commissione cardinalizia, assistita da un vescovo con la duplice funzione di segretario generale della commissione e di assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica. Questa sua riforma fu conseguita con l’intento di proteggere il laicato cattolico ed ottenere una maggiore clericalizzazione e diocesanizzazione dell’Ac stessa. Tra i vari pareri dei vescovi in merito a questa innovazione, viene maggiormente preso in considerazione quello che rivendica un impegno nel sociale più ragguardevole. E’ in base a questa analisi che l’Ac darà al futuro partito di ispirazione cristiana parte dei suoi quadri dirigenti e soprattutto la grande massa degli iscritti della sua Associazione. Uno dei primi atti della Commissione fu quello di nominare Aldo Moro presidente nazionale della Federazione Universitari Cattolici Italiani (FUCI). L’obiettivo primario della sua presidenza è quello di preparare i cattolici ad una ripresa della vita democratica. La coscienza di creare dei veri cristiani che sentono la responsabilità della vita e il dovere di una espansione di carità rappresenta l’oggetto della FUCI. Quando Aldo Moro lascia la presidenza, a causa di impegni militari, gli succede Giulio Andreotti, già conosciuto come condirettore del loro periodico “Azione Fucina”. E’ proprio attraverso questo periodico che farà conoscere le sue idee, la principale delle quali è la necessità di contribuire a far convergere l’impegno degli universitari cattolici nel cooperare a porre le basi per un futuro ordinamento sociale ispirato ai principi del cristianesimo. I due personaggi accennati sono tra i maggiori esponenti nella storia della causa democristiana e sono riusciti a scalare la loro posizione politica proprio grazie ai loro archetipi diffusi con la militanza in associazioni di stampo cattolico come quelle sopra esposte. Giulio Andreotti, oggi senatore a vita, è poi diventato Presidente del Consiglio del partito della Democrazia Cristiana, mentre Aldo Moro, a lungo leader della Dc, viene oggi ricordato come un martire politico. Considerato dai comunisti il pericolo più grande, per via del progetto politico di cui era portatore e del suo modo di vedere la società democratica, viene rapito dalle Brigate Rosse e ucciso dopo 55 giorni di prigionia. Come riportato in un intervista alla figlia Agnese per il mensile di Azione Cattolica “Segno nel Mondo”, la sua idea di democrazia era quella di un paese che mettesse al centro le persone e che cercasse di farle esprimere al meglio, e di un luogo dove tutti potessero incontrarsi per intraprendere insieme una strada. Il suo giudizio per il terrorismo è di una violenza tramata nell’ombra, funzionale ad interrompere un processo di libertà. E’ molto fiducioso nei giovani, con i quali è quotidianamente a contatto, e non teme il futuro.
La storia ci insegna come, in molte delle vicende in cui i cristiani si sono impegnati nel sociale, essi non hanno avuto il timore di affrontare il futuro con tutte le forze derivanti dalla propria fede. Testimoniano quanto enunciato, oltre al caso Moro, tanti altri casi durante il periodo della Resistenza e del ritorno alla democrazia nel nostro paese, in seguito al secondo conflitto mondiale. E’, a tal proposito, singolare il contributo dei partigiani cattolici alla liberazione con la pratica della Resistenza carità, cioè un modo sconosciuto fin ad allora, ma soprattutto più umano di vivere questo drammatico momento storico, opponendosi a ogni ingiustizia e affermando la libertà come diritto di ogni uomo, riconoscendo la dignità di persona anche agli avversari. A fianco della componente cattolica si trovano in questo cammino altre componenti ideali del nostro paese, come quella legittimista, liberale, socialista e comunista. Proprio quest’ultima dà vita alla Resistenza rivoluzione, improntata su un progetto violento mirato alla costruzione di una società perfetta e che necessita, quindi, dell’abbattimento di chiunque si opponga alla sua ideologia. In quel periodo, la cultura comunista diventata dominante, finisce per affermare, attraverso la censura degli episodi scomodi e la mitizzazione dell’antifascismo, l’idea di una resistenza quasi esclusivamente rossa. Attraverso le parole, le testimonianze, le lettere, i documenti e foto dei protagonisti, alcuni dei quali mostreremo in questa tesi, è possibile rivivere la nascita della Resistenza cattolica a Reggio Emilia ad opera di grandi personaggi oggi dimenticati. Don Pasquino Borghi, animatore ardente dei primi nuclei partigiani, ospitò nella sua casa evasi di prigionia tedesca e, ucciso dai nazisti, divenne per i giovani motivo di maggior dedizione alla lotta partigiana. Non si può non rievocare nella mente dei cattolici il coraggio del comandante e medico Pasquale Marconi, il quale, padre di dieci figli, rischiò la vita per curare anche gli avversari feriti. Divenuto partigiano “per amore e non per odio”, afferma che quando è in gioco la libertà non si può stare in comodo rifugio. “Amico della verità sino al martirio” si confermò il seminarista quattordicenne Rolando Rivi, ucciso dai partigiani comunisti per non aver sacrificato il suo gusto di vivere la propria identità, di voler portare l’abito talare e di guidare altri giovani al fermento cristiano. Questi sono solo alcuni dei tanti protagonisti di quella “Resistenza Cancellata”, a cui presero parte numerosi cattolici. Ripercorrendo la strada dalle origini, un gruppo di partigiani forti della loro profonda fede cristiana e accomunati dal riconoscimento della dignità dell’uomo, anche se nemico, danno vita alla Resistenza nella città di Reggio Emilia, in quanto delusi dal fascismo e legati dalla comune amicizia con due sacerdoti. A partire dall’8 settembre 1943, la parrocchia di S. Pellegrino diventa luogo d’incontro clandestino per l’organizzazione di una iniziale forma di Resistenza sotto la guida di Don Angelo Cocconcelli e Don Giuseppe Iemmi. Questi incontri coinvolgeranno successivamente anche esponenti politici, sino a portare alla formazione del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Tutti i partiti democratici diedero il loro apporto alla formazione di questo comitato, tra i quali il Partito Socialista (PSIUP), la Democrazia Cristiana (DC), il Partito Comunista (PCI), il Partito Liberale (PLI), il Partito d’Azione (PDA) e la Democrazia del Lavoro (DL), con l’intento di conquistare la libertà in maniera definitiva contro ciò che rimane del fascismo. Il segretario della DC De Gasperi capì sin da subito che l’intento del PCI non era solo quello di liberare l’Italia, ma soprattutto di conquistare una dittatura di fatto attraverso le forme democratiche. Questo è quanto esprimeva in una delle sue lettere indirizzate a Don Sturzo. L’inclinarsi dei rapporti dei due partiti è successivamente confermato dalla denuncia fatta da un altro esponente politico della Democrazia Cristiana, Giuseppe Dossetti, il quale riconosceva il contributo del Partito Comunista specialmente in alcune province, ma la Resistenza non doveva essere il monopolio esclusivo di alcun partito e, invece, si è tentato di farne il monopolio del partito comunista.
E questo è solo l’inizio di una interminabile battaglia ideologica tra due partiti che hanno fondato la loro esistenza da una parte sul carattere dell’ateismo e della rivoluzione totale, rifacendosi al progetto politico dell’URSS, dall’altra sui principi cristiani da applicare nella società per il successo della repubblica democratica, ma questo lo vedremo meglio nel prossimo paragrafo.
Tutt’oggi, sono evidenti i tentativi della Chiesa di dare una sterzata alla politica dei governi contemporanei, che sia finalizzata al rispetto della vita e dei principi inderogabili ad essa connessi.
Tramite la “Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”, il Concilio Vaticano II invita i fedeli laici a non abdicare alla partecipazione alla “politica”, ovvero alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, finalizzata all’ approvazione organica ed istituzionale del bene comune.
E’ proprio questo il punto che chiarisce qualsiasi dubbio sull’importanza del Cristianesimo nella politica. Il cristiano, infatti, è chiamato ad essere il primo a dare l’esempio di lealtà ed obbedienza verso la propria patria, ma tutto ciò fino a quando essa garantisce i principi inviolabili dell’uomo e ne promuove il rispetto degli stessi.
Purtroppo questo non è da considerarsi per scontato, e quando ciò avviene, risulta più che necessario che i cristiani scendano in campo per far sentire la propria voce nel richiamare i governanti al rispetto dei principi egualitari che appartengono alla democrazia. Quando non risulterà sufficiente una semplice esclamazione popolare a richiamare la deferenza di questi valori sarà doveroso per coloro che hanno una formazione cristiana che s’impegnino in prima persona nella gestione delle risorse a disposizione della comunità.
Una dimostrazione trasparente dell’impegno dei cristiani in politica ci è data dalla DC che, per un lungo periodo della storia della Repubblica Italiana, seppe come nessun altro partito difendere i valori cristiani e collocarli alla base della Costituzione.

martedì 4 novembre 2008

FIERI DI ESSERE ITALIANI


Il 4 novembre 1918, novanta anni orsono, si completava con la vittoria di Vittorio Veneto e la fine della Prima Guerra Mondiale, il ciclo delle campagne nazionali per l’Unità d’Italia. Un cammino partito dalla Prima Guerra d’Indipendenza, un percorso lungo, difficile, doloroso, portato a termine con il concorso della popolazione di tutte le regioni d’Italia.
La data celebra la fine vittoriosa di una guerra che ha determinato radicali mutamenti politici e sociali, e commemora la firma dell’armistizio siglato a Villa Giusti (Padova) con l’Impero austro-ungarico. Negli anni a seguire il ricordo di quegli eventi si è tenuto vivo dedicando la giornata alle Forze Armate e all’Unità Nazionale, ed in special modo a tutti coloro, soprattutto giovanissimi, che sono caduti nell’adempimento delle loro funzioni militari.
Le celebrazioni di quest’anno, nel quale ricorre il 90° anniversario, sono incentrate, ancor più che nel passato, nella ricerca di nuove occasioni d’incontro tra cittadini e Forze Armate, per rinsaldare un legame storico tra la società italiana e le donne e gli uomini ‘con le stellette’. Le celebrazioni si aprono il 4 novembre con l’alzabandiera e la deposizione della corona d’alloro all’Altare della Patria da parte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale sarà presente nella stessa giornata al Sacrario Militare di Redipuglia (Gorizia), che custodisce le salme di 100.000 caduti della Grande Guerra, e a Vittorio Veneto (Treviso) per la celebrazione del 90° Anniversario della Vittoria. Il 5 novembre il Presidente Napolitano sarà alla Villa Giusti di Padova per celebrare il 90° Anniversario della firma dell’Armistizio.
Numerose sono le iniziative celebrative della ricorrenza coordinate dalle Prefetture e che si uniscono a quelle programmate a livello nazionale dal Ministero della Difesa: un spot della durata di 30 secondi trasmesso dai circuiti televisivi nazionali che sottolinea il rapporto di fiducia e affetto tra la popolazione civile e le Forze Armate; una serie di manifestazioni celebrative l’8 e il 9 novembre in 21 piazze d’Italia; la chiusura degli eventi con un concerto a Piazza del Popolo, a Roma, tenuto dal maestro Andrea Bocelli.

giovedì 30 ottobre 2008

Una voce fuori dal coro...brava Gelmini!



VOLANTINAGGIO!!!!
Stamattina, alle ore 8.30, ci siamo dati appuntamento davanti ai tre istituti scolastici di Lesina per informare la cittadinanza circa i contenuti della tanto discussa "legge Gelmini":DECRETO-LEGGE 1 sett. 2008 n.137/approvato, con modifica dalla Camera dei Deputati il 09-10-2008/convertito in legge dal Senato della Repubblica il 28-10-2008.
L'iniziativa, ideata con gli amici della DcA, è stata intrapresa per fare luce sugli aspetti del famigerato decreto Gelmini.
Riteniamo infatti, che al riguardo si sia fatta troppa confusione, anzi a pensarla male.... una strumentale disinformazione!
Per cui, al netto di tante chiacchere, vi proponiamo semplicemente la lettura integrale del testo normativo, che troverete a margine del post!
...Buona Lettura e Buon Ognissanti!
Leonardo & Antonio

sabato 25 ottobre 2008

Mentre gli studenti di sinistra si battono per la scuola pubblica...


...I figli di Nanni Moretti, Santoro, Veltroni & company vanno alle scuole private!
(Sottotitolo: Armiamoci e partite!)
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Tanta preoccupazione per la scuola pubblica si può spiegare solo come un atto estremo di altruismo, visto che quando si tratta di decidere il destino dei figli un bel pezzo di centrosinistra si orienta direttamente verso le scuole private. E magari straniere.
Sorprende, insomma, tanta acrimonia nei confronti del ministro Gelmini, visto che non sono pochi gli esponenti della sinistra che di contatti diretti con la riforma della scuola, non ne avranno mai. Lo ha candidamente ammesso Michele Santoro nel corso dell’ultima puntata di AnnoZero, tutta dedicata alla scuola e alla nuova ondata di contestazioni studentesche.
Voleva dimostrare al leghista Roberto Cota quanto fosse sbagliata l’idea di «classi ponte» per insegnare la lingua straniera ai figli di immigrati. In sintesi: l’integrazione è facilissima anche quando un bambino si trova in un’aula dove tutti parlano una lingua che non sa. Per spiegarlo ha riportato, con comprensibile orgoglio paterno, l’esempio della figlia che frequenta una scuola straniera «e già parla un’altra lingua ». Applausi. Non si sa se dedicati alla bravura della bimba poliglotta o all’accostamento tra chi frequenta il costoso istituto francese «Chateaubriand», con l’obiettivo di diventare bilingue ed evitare le storiche carenze della scuola italiana, e i figli degli immigrati alle prese con la durissima battaglia per l’integrazione.
Ospite della trasmissione, il segretario Ds Walter Veltroni. Dei suoi investimenti immobiliari e formativi a New York a favore della figlia si sa già tutto. D’altro canto il Pci non c’è più. E con i comunisti è scomparso anche il divieto non scritto che vigeva per i dirigenti: mai iscrivere i figli alle private. Lo conferma il caso di Giovanna Melandri, la cui prole è stata affidata all’istituto privato «San Giuseppe». Si dice che l’esponente Pd abbia anche cercato di fare entrare la figlia in una scuola inglese. La stessa - la «Rome International School» - scelta dall’ex parlamentare di Rifondazione comunista Franco Russo, ansioso di dare un’educazione un po’ amerikana ai discendenti.
Niente pubbliche o comunali anche per i nipoti di Fausto Bertinotti, iscritti a suo tempo ad un prestigioso asilo romano dal metodo di insegnamento rivoluzionario. Ma a pagamento. E in effetti non è sempre la caccia alla lingua straniera la molla che fa scappare i genitori democratici dalle pubbliche. È il caso dell’ex ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni, contestato dai giovani del centrodestra per aver mandato il figlio ad un Liceo scientifico paritario di Viterbo, proprio negli anni in cui era in carica nel dicastero di viale Trastevere.
La seduzione del privato-straniero ha fatto breccia anche tra i più intransigenti girotondini. È il caso di Nanni Moretti, il cui figlio frequenta la scuola americana di Roma, la «Ambritt». Stessa scelta per il discendente di un vero e proprio outsider del Partito democratico: Mario Adinolfi. Proprio in questi giorni l’ex esponente del Ppi, per sua stessa ammissione allergico alle occupazioni, ha lodato la nuova ondata di studenti contestatori vedendoci l’embrione di un «conflittogiovanile di massa contro queste destre ». Chissà se anche dalle parti della scuola americana di Roma farà breccia l’atteso nuovo Sessantotto.
Scuola privata catanese anche per le figlie di Anna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd. Al club del «no alle statali» si è iscritto anche Francesco Rutelli, Anche lui negli ultimi giorni si è espresso, non tanto a favore della protesta studentesca, quanto contro la linea «dura» di Berlusconi. Sicuramente nessuna delle sue due figlie dovrà subire interruzioni delle lezioni: una è iscritta al liceo privato «Kennedy» e l’altra alla prestigiosissima «San Giuseppe De Merode», scuola con vista su Piazza di Spagna.
Da quelle parti di okkupazioni, e cortei, se ne vedono pochi.
articolo di Antonio Signorini, tratto da Il Giornale del 25-10-2008

lunedì 13 ottobre 2008

Il caso Petrella: cronaca di un delitto impunito!



di Leonardo Mandunzio


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Il FATTO:
Marina Petrella, detta “Primula rossa”, 54 anni, dal 1976 operante nella colonna romana delle Brigate Rosse, condannata all'ergastolo nel 1992, al termine del cosiddetto processo “Moro Ter”, per l’omicidio di un poliziotto ed il sequestro di un Magistrato, libera di espatriare, per gli effetti della decorrenza dei termini di custodia cautelare.
LA LATITANZA:
nel 1993 fugge in Francia, dove per l’effetto della “dottrina Mitterand”, varata nel 1985, il terrorista latitante non può essere estradato in Italia se si impegna a rinunciare alla lotta armata costruendosi una nuova vita. (Roba da far impallidire Montesquieu!).
Sulla scorta di questa dottrina, parecchi brigatisti nostrani ripararono a Parigi sfuggendo, così alla giustizia italiana.
Ritornando alla Petrella, dopo essersi rifugiata a Parigi, vive indisturbata fino al 2007, lavorando come assistente sociale, anno in cui la polizia francese stranamente si accorge di lei identificandola ad un normale posto di blocco stradale e finalmente arrestandola.
Tale circostanza fa scattare l’inevitabile procedura per l’estradizione richiesta dal Governo italiano.
Il 9 luglio 2007, il Presidente della Repubblica francese, Sarkozy, assicura pubblicamente che la "dottrina Mitterand" è superata, dichiarandosi pronto a firmare il decreto di estradizione della Petrella, subordinandolo però, alla concessione della grazia da parte delle Autorità italiane.
La Petrella, nel frattempo colta da un attacco di depressione, esce dal carcere e viene ricoverata in una casa di cura di Parigi dove afferma testuali parole:” In Italia non tornerò, potranno riavere soltanto il mio corpo”
Il Governo italiano ribadisce che la brigatista deve essere estradata in base al diritto comunitario, senza condizioni, in quanto la grazia la può concedere solo il Presidente della Repubblica italiana a seguito di richiesta da parte dell’imputata, assicurando, altresì, cure adeguate per la brigatista.
Senonchè l'Avv. Irene Terrel legale della Petrella, rispolvera una clausola del Trattato di Estradizione Italia-Francia del 1957 dove si prevede una opposizione al decreto di estradizione qualora ricorrano motivi umanitari (rischio di lasciarsi morire). Guarda caso da allora, la Petrella ha iniziato lo sciopero della fame e della sete.
Il resto dell'opera la completano le sorelle Carla e Valeria Bruni, mentori della causa della Petrella, convincendo il Presidente Sarkozy a disapplicare il decreto di estradizione.
IL DIRITTO COMUNITARIO VIOLATO:
La posizione della Francia in questa vicenda è del tutto arbitraria ed ingiustificabile sul piano del diritto comunitario per i seguenti punti:
1) In base al trattato di Schengen, Titolo III, lettera c ) i firmatari dell'Accordo si impegnano ad estradare tra loro le persone perseguite dalle autorità giudiziarie della parte richiedente;
2) La dottrina Mitterand, è una semplice prassi francese e non può derogare un trattato internazionale firmato dalla Francia stessa
3) la clausola umanitaria invocata dal legale della Petrella è pretestuosa poichè la sua assistita potrebbe continuare ad essere curata in Italia, dove è previsto il rinvio dell'esecuzione della pena per malattia particolarmente grave incompatibile con la detenzione carceraria (artt. 146-147 c.p.)
CONCLUSIONI:
Si attende che il Governo italiano faccia rispettare in seno alla Corte di Giustizia europea l'Accordo di Schengen, tramite ricorso per inadempimento.
Questo sia ben chiaro, non per spirito di rivalsa ma per garantire, seppur a 30 anni di distanza, un barlume di giustizia ai parenti di tutte quelle vittime che il terrorismo ha falciato negli anni’70 , che non meritano di essere dai carnefici pure irrisi.

venerdì 10 ottobre 2008

Cazzeggio...ergo sum!

di Leonardo Mandunzio
Navigando nel web mi sono imbattuto nel seguente annuncio:
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“Omissis…….Stiamo cercando nuovi opinionisti per un famoso programma delle reti *****. Cerchiamo ragazzi/e, signori/e di bella presenza, spigliati e che non abbiano timore delle telecamere….omissis”
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In principio fu Aldo Biscardi, poi venne Maria De Filippi con la trasmissione cult Amici: indice alzato, stile scuola materna, per prenotare l’intervento.
Da allora nel “piccolo schermo” è un continuo susseguirsi di programmi in cui si alternano mandrie di opinionisti chiamati a dire la loro su tutto lo scibile umano.
Il trend, volenti o nolenti è ormai questo…
Non c’è niente da fare, per riscontrare i favori del pubblico bisogna urlare o denigrare il malcapitato di turno infischiandosene di rovinargli la reputazione.
Tutto si è trasformato in un chiassoso talk-show, mutazione genetica che non ha risparmiato nemmeno la tradizionale partita di calcio.
Prima a commentare le gesta atletiche di Van Basten & C., c’era solo il buon Pizzul, adesso invece si alternano in tre per condire il match di riflessioni inutili e banali.
A tal riguardo chiederò al Ministro Gelmini, con una petizione popolare, di imporre il telecronista unico!
Ma i “cultori dell’ovvio” non si fermano solo al calcio……
Il problema diventa serio quando questi signori (veline, gieffini, visagisti e tronisti) sono chiamati a presenziare in trasmissioni televisive (Porta a Porta, Matrix, Italia sul 2…….) con una share elevato, in cui si discutono argomenti di rilevanza etico-sociale.
E vero che l’art. 21 della Costituzione recita che:”Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione
Ma è altrettanto vero che, non basta l’ironia o la bella presenza per giustificare un “secondo me” anche quando la questione da dibattere è rilevante.
Quel "secondo me" dovrebbe essere sorretto da doti come la competenza e soprattutto la prudenza, qualità che si acquistano non sull’Isola dei Famosi ma dopo anni di studio, al fine di garantire il diritto del telespettatore ad essere informato sulla questione trattata nel modo più veritiero e corretto possibile!
Questo aspetto tragicomico della Tv italiana è stato colto dal mitico Gene Gnocchi (al secolo Eugenio Ghiozzi, classe 1955, ex avvocato, attore, scrittore), che attraverso il suo show (Artù in onda ogni giovedì verso le 23.15) si propone di formare quelli che definisce gli “esperti del cazzeggio”!
Ci riuscirà?
Vai Gene siamo con te!

sabato 4 ottobre 2008

Nella guerra della scuola i bambini come scudi umani

Articolo del 03-10-2008-tratto da L'Occidentale


Nella paradossale battaglia per difendere la scuola dal ministro dell'Istruzione la sinistra e la sua stampa di complemento la deve smettere di usare i bambini come scudi umani.
Ormai c'è n'è una al giorno. Ieri abbiamo saputo della maestra che ha convocato la manifestazione contro la Gelmini facendo scrivere una nota sul diario dei ragazzi, da far leggere e firmare ai genitori.
Sempre ieri a Bologna, genitori e insegnanti hanno tentato di occupare la scuola elementare don Marella, portandosi i bambini al seguito, col sacco a pelo e i materassini. Per poi gridare allo scandalo quando i carabinieri hanno fatto sgombrare la scuola spaventando i piccoli alunni.
Oggi dall'Unità apprendiamo che manovre del genere sono considerate un successo democratico. Così infatti l'intrepido titolo del quotidiano: "Una giornata di lotta a staffetta. Gli insegnanti, i precari, i genitori, ma anche tanti bambini".
Grande successo della manifestazione dunque: anche i bambini sono contro la riforma del ministro Gelmini, scendono in piazza, si accampano sulle scalinate del ministero e rilasciano interviste bellicose. Come quella che sempre l'Unità ha cura di riportare: "Marco biondino di 9 anni - scrive impavido il giornalista - la mette sul pratico: voglio andare a scuola anche il pomeriggio, a casa mi rompo". Più che contro la Gelmini sembra un'intervista contro i genitori, ma ovviamente la tesi del giornalista è che la Gelmini abbia abolito ora e per sempre il tempo pieno.
Insomma basta: se genitori e insegnanti hanno voglia di manifestare lo facciano pure ma lascino in pace figli e figlie, non li schierino in una guerra che non è la loro, non ne facciano oggetto di propaganda politica.
Non si difende un'idea di scuola alternativa a quella del governo, giusta o sbagliata che sia, mettendo i bambini sugli spalti della rivolta così da nascondersi dientro la retorica dell'innocenza, magari sperando di esporli come "vittime collaterali".
Se proprio volete la guerra contro Mariastella, armatevi e partite, ma lasciate i bambini a casa.