2008:CATTOLICI E LIBERALI PERCHE'?

Nel ‘900, molti liberali europei si sono trovati spesso in conflitto con la Chiesa. L’Italia e la Francia si sono costituiti proprio come Stati-nazione con una lotta (anticlericalismo) nei confronti della Chiesa cattolica. Ora, i tempi sono maturi per superare quel razionalismo chiuso e per aprire il liberalismo al messaggio Cristiano. A tal fine, non occorre che il liberale sia credente (la fede si gioca in un incontro personale con Dio), ma consapevole che sulla cultura Cristiana si è fondata l'Europa.
In passato il progressivo rinnegamento di queste radici ha consegnato il "vecchio continente" nelle mani di regimi liberticidi e sanguinari (comunismo e nazi-fascismo). Oggi il pericolo si chiama laicismo e fondamentalismo! Ecco le ragioni del nuovo progetto liberale: credenti e non credenti insieme per assicurare a Lesina, in Italia, in Europa.. un alba di libertà!

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lunedì 22 settembre 2008

mercoledì 17 settembre 2008

DON GIUSSANI EREDE DI ROSMINI: la Famiglia e non lo Stato scelga l'istruzione



Articolo scritto da Alberto Mingardi, apparso su Il Riformista del 23-02-2005
Di Don Luigi Giussani rimarrà tanto, resterà la sua capacità di avvicinare al Mistero, di chiarire come pochissimi altri nel mondo d’oggi il doppio binario cristiano, ch’è il pessimismo sulla natura dell’uomo e l’ottimismo sul suo destino, il bisogno del vero declinato secondo il gusto del ragionevole, l’esperienza della fede. E quanti sono stati toccati, di persona, da questo sacerdote di Desio al punto di farne un’appartenenza, hanno di certo ben più da dire, ben più da piangere. Ma Don Gius non deve, ora, continuare a vivere solo nella loro biblioteca,o nel segreto tempio degli affetti. La sua lettura sarebbe ampiamente raccomandata a quelli che continuano a dirsi liberali, eppure non riescono ad affrancarsi dai miti stanchi che tramano contro il successo, la verosimiglianza, il senso stesso di quella tradizione di pensiero alle nostre latitudini.
Proprio a quelli che non riescono a comprendere quanto sia naturale, quanto sia “normale” essere cattolici e liberali, come Bastiat,come Tocqueville, come Rosmini, leggere Giussani farebbe bene.
Soprattutto su un tema, che è cartina di tornasole affidabile: l’educazione.
Il recinto della “scuola laica”è ancor oggi guardato a vista. Sottrarre l’educazione alle famiglie è stata raccomandata come l’unica assicurazione possibile contro la sopravvivenza del dispotismo sociale, di un intrigo di medioevali pregiudizi che schiacciano l’individuo proprio mentre cerca di diventare se stesso. I liberali post-unitari, del resto, erano impegnati a “fare gli italiani”,fabbricando da poche briciole un’identità, e dunque ansiosi di far conto su due agenzie di omogeneizzazione culturale: il servizio militare, e la scuola. Abortire il pluralismo dell’offerta educativa diventa una necessità, se lo Stato si definisce in antitesi all’unica istituzione che abbia radici robuste abbastanza da resistergli: la Chiesa.
L’imbastardimento del liberalismo per la velleità di un’egemonia era stato anticipato, sfidando il fuoco dei contemporanei, da Antonio Rosmini. «Vi hanno tra noi dei dottrinari», scriveva, «che riconoscono nei padri il diritto di fare istruire i loro figliuoli da persone di loro fiducia, scelte senza impedimento, ma poi aggiungono: «ciò non ostante per al presente non conviene lasciare questa libertà ai padri di famiglia, perché non ne sanno usare, hanno molti pregiudizi imbevuti nel tempo passato. Conviene dunque per ora privarli di quella libertà, fino che sieno formati alle nuove idee della giornata; allora poi glie la concederemo».Quelli che così ragionano sono falsi liberali,il che è quanto dire non liberali, sono teste inconseguenti, senza principi».Ammettere la libertà solo per i membri del proprio club ideologico, legare l’esercizio della propria responsabilità al riscatto di un esame,espropriare padri e madri del diritto di educare per consegnarlo al potere politico è un tradimento, un’abiura.
Ecco, Giussani,in molte occasioni ma soprattutto in un libro bellissimo, Il rischio educativo, ha definitivamente e vigorosamente sgomberato il campo da ogni equivoco. Lo Stato non può educare,perché l’educazione in senso proprio è immensamente di più dell’immagazzinare nozioni, da una parte, e del tentativo d’indottrinare dall’altra. Don Gius ha smascherato la bugia della scuola laica,aprendoci gli occhi sull’impossibilità di una educazione “neutrale”, che finga di tacere sulle questioni che fanno ribollire il sangue degli uomini. Insegnare è accettare il “rischio della libertà” e formarlo al confronto, perché «la scuola neutra pare che tragga queste sole conclusioni dallo scetticismo che tende a generare: il fanatismo o il bigottismo, fanatismi pro, bigottismi contro, oppure indifferenza e qualunquismo».
Viceversa, solo “una scuola ideologicamente qualificata” può «creare coscienze veramente aperte,e spiriti veramente liberi. E’ proprio perché educa all’affermazione di un criterio unico che essa può creare nel giovane un interesse intenso al paragone con le altre ideologie e una apertura sincerissima e simpatetica verso di esse». Non si cresce immergendosi in un brodino scipito, non c’è libertà educativa in un’orchestra composta sì di molti elementi,ma tutti costretti al silenzio.E’ invece solo sul mercato della conoscenza, un mercato aperto a chiunque abbia qualcosa da dire (due tipi di persone hanno la dignità dell’umano, racconta Giussani a Renato Farina: l’anarchico e il religioso, chi sa accettare l’esistente e chi sa ribellarsi, non quelli che si mordono la lingua), che si può trovare il pluralismo autentico. E non crediate la tolleranza sia figlia del silenzio: è anzi il prodotto di quella “simpatia” per la fede altrui che solo chi ha consapevolezza di quel che crede può provare.
C’è una lezione di libertà straordinaria in quelle pagine,che andrebbe urlata addosso ai talebani dello scetticismo, ai silenziatori delle coscienze, agli spiriti colti e smaliziati per i quali il rispetto delle ragioni altrui è figlio di un cinismo divertito e compreso,e non dell’identificazione nella differenza. Guarda caso, c’è una parola ch’era cara a don Gius. “Creatività”, e dice il meglio dell’uomo, calpestato e offeso dall’interventismo selvaggio: «lo statalismo è sempre una situazione pietosa, nel senso che fa pietà: senza creatività, senza poesia, senza canto (adeguati, dico)». «Una società è fatta dall’imporsi di questa creatività di cui la libertà dell’uomo è capace, dall’imporsi di questa creatività anche al predominio dello Stato.Più società:più individui,più creazione dal basso».

martedì 2 settembre 2008

Il compito dei cattolici nella società di oggi


Talvolta abbiamo idee confuse e personali su come debba comportarsi un credente cristiano nella società di oggi.
Con questo intervento, da parte di un eminente esponente della Gerarchia ecclesiastica, si dissipa ogni dubbio.
Ve lo proponiamo integralmente. Buona lettura.

Intervento dell'arcivescovo Rino Fisichella al Meeting di Rimini
Rimini, 30. "Noi non stiamo nelle sacrestie, siamo nel mondo. Noi siamo nel mondo, nessuno potrà chiuderci la bocca. Se non parliamo noi non ci sarà nessuno che avrà parole di speranza per questo uomo sperduto di oggi": con queste parole sul ruolo dei cattolici nella società attuale, monsignor Rino Fisichella, rettore dell'Università Lateranense e presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha suscitato calorosi applausi nel corso del suo intervento da parte dei presenti a Rimini, venerdì 29 alla penultima giornata dell'annuale Meeting di Comunione e liberazione.
Monsignor Fisichella, riferendosi ai sanguinosi attacchi ai cattolici nell'Orissa in India, ha dichiarato che "come nei primi tempi della Chiesa, i martiri sono ancora oggi. Quattordici persone, se non trenta, sono state uccise solo perchè portano il santo nome cristiano". L'arcivescovo ha quindi parlato del rapporto tra scienza e fede: "La Chiesa - ha dichiarato - non potrà mai essere nemica della scienza e non lo è mai stata in passato", è nemica piuttosto delle pseudo-scienze e della pretesa della scienza di dire l'ultima parola sull'uomo.
Monsignor Fisichella, riferendosi al conflitto che può sorgere tra scienza e fede, ha voluto ribadire che "da noi non ci si può aspettare una parola di morte; da noi ci si può aspettare soltanto una parola di vita. Se noi per un attimo dimenticassimo questo l'uomo di oggi sarebbe disperato, cioè¨ senza speranza. Noi non possiamo permettercelo". "Quando si toccano i principi fondamentali del vivere - ha continuato monsignor Fisichella - del dare senso alla vita, quando si toccano i fondamenti dell'esistenza, dobbiamo dare all'uomo di oggi delle certezze, non dei dubbi, perchè si tratta di vivere fondandosi sulla roccia che è Cristo".
Riferendosi al ruolo della Chiesa cattolica nella società di oggi, monsignor Fisichella ha voluto sottolineare che un ruolo pubblico per la Chiesa non è "ingerenza" ma capacità di dire parole di vita e speranza.
"Ci sono una serie di situazioni - ha sottolineato il rettore - che sono state riferite al cosiddetto "testamento biologico" ma possono esserci altre espressioni che fanno emergere più il senso della vita anzichè la morte".
Nei riguardi del rapporto tra Chiesa e Stato circa le questioni etiche e biologiche, monsignor Fisichella ha sottolineato che "nel momento in cui nella società si pongono problemi nuovi ed emergono situazioni prima sconosciute perchè la scienza fa passi da gigante, è evidente che lo Stato sia chiamato ad assumersi la responsabilità di dare una risposta".
Tuttavia, per monsignor Fisichella, "la Chiesa conosce l'uomo, è esperta in umanità ; per questo sa che cosa c'è nel cuore dell'uomo, sa quali sono le domande che si agitano nell'essere umano. Sono le domande di sempre.
Da dove vengo? Dove vado? Perchè il dolore? Perchè la sofferenza? Perchè la malattia?
Queste sono le domande dell'uomo. Dell'uomo antico, dell'uomo del medioevo, dell'uomo moderno, dell'uomo post-moderno, quando arriverà ".
Riferendosi ai recenti, sanguinosi episodi di persecuzione contro i cristiani nello Stato indiano dell'Orissa, monsignor Fisichella ha lanciato un appello in difesa dei "nostri fratelli che vivono in una regione lontana dalla nostra, ma ci appartengono. Nel momento in cui si infierisce su di loro, si infierisce su di noi, perchè noi siamo solo un corpo, questa è la realtà della Chiesa".
"La Chiesa - ha poi proseguito - nel corso dei suoi duemila anni è ancora oggi protagonista nella vita delle persone. Perchè, a differenza di tante forze che sono presenti nel mondo la Chiesa vive di un incontro interpersonale con ciascuno.
Se non fossimo credibili, allora il mondo non ci insulterebbe, perchè penserebbe che siamo dei suoi.
Proprio perchè siamo credibili, proprio perchè siamo capaci di dare dei martiri, proprio perchè siamo capaci ancora oggi, ininterrottamente, di riportare quella Parola di vita, proprio per questo il mondo non ci vuole. Anzi, ci vuole come dei numeri.
A tutto questo diciamo no, diciamo che siamo persone, e persona, per sua stessa identità semantica significa relazione. Questo termine è stato trasformato nel corso dei secoli cristiani alla luce del concetto di Dio che è Trinità ;
siccome i cristiani dovevano parlare di Dio come persona e come una persona che ama e che è in relazione ed è Padre e Figlio e Spirito, allora questa relazionalità viene data a ciascuno di noi". Monsignor Fisichella ha quindi ricordato che "la Chiesa nella sua realtà è nel mondo ma non è del mondo, perchè Gesù ci ha detto questo;
ma noi partecipiamo completamente di quello che è la realtà del mondo di oggi.
Noi siamo come un fermento che alimenta la pasta, ecco perchè dobbiamo essere presenti, ecco perchè nessuno potrà rinchiuderci".
Monsignor Fisichella nel concludere il suo intervento al Meeting di Rimini 2008 ha ricordato le parole di John Henry Newman in una delle pagine della Apologia pro vita sua quando scrive: "Io non permetterò mai che quell'evento, che ha dato senso alla mia vita, possa essere considerato come un reperto archeologico; è vero, è vissuto più di venti secoli fa ma la sua parola è una parola per oggi, la sua persona vale per oggi, il suo messaggio di amore vale per oggi".